Ci si chiede se per le locazioni ad uso casa di riposo sia possibile applicare la disciplina alberghiera e quindi fissare in nove anni la durata minima del contratto di locazione.

Di seguito viene riportato un brano della conclusionale presentata nel giudizio avente ad oggetto la questione e  nel quale sono esposte le argomentazioni  a favore e contrarie alla tesi  della applicazione della disciplina alberghiera.

 

 

 

 a. Corretta applicazione dell’art. 27 l 392/1978

Contrariamente a quanto affermato nella sentenza di primo grado, la casa di riposo deve a tutti gli effetti rientrare nelle attività alberghiere.

I presupposti sui cui il giudice di primo grado ha inteso fondare la propria decisione sull’inapplicabilità alla fattispecie del regime alberghiero sono assolutamente inconferenti.  Infatti, è errato, sia sostenere che l’art. 27 l 392 78 debba essere interpretato restrittivamente, sia che rientri nell’oggetto delle prestazioni delle case di riposo l’attività sanitaria, sia che  la differenza tra le due attività  sarebbe quella della diversa durata di permanenza della clientela.

a.1 L'articolo 27 della legge 392.1978 si esprime con un plurale: “attività alberghiere” formulazione che appare ben diversa da quella di: ” attività alberghiera”. Un tale elemento letterale posto dal Legislatore  non può essere trascurato, invero, l’uso del plurale  milita per una applicazione estensiva e non restrittiva della norma.

a..2 Partendo da tale incontrovertibile presupposto appare appena il caso d’individuare quale definizione la legge dia dell’attività di casa di riposo. Per ciò che riguarda la Regione Lazio (in materia vi è la e competenza legislativa concorrente della Regione)  si deve far riferimento all'articolo 34 della legge Regionale 9 settembre 1996, n. 38. Tale articolo - che ha un testo comune a tutti quelli delle regioni che hanno adottato norme in materia (per tutte si veda la legge regionale della Lombardia ) - ha il seguente contenuto: “ La casa di riposo, consistente in un'istituzione per l'ospitalità di persone anziane totalmente o parzialmente autosufficienti, in numero non superiore a 80 unità, nella quale vengono assicurati, oltre alle prestazioni di tipo alberghiero, interventi culturali e ricreativi nonché i servizi specifici a carattere socio assistenziale” .

a. 3 Da tale definizione si evince subito che il primo presupposto,  sul quale si fonda l’erronea sentenza di primo grado, ossia quello che è riferito allo svolgimento di servizi medici, non sussiste affatto, poiché le case di riposo non devono  somministrare  servizi sanitari.

a. 4 In virtù  della legale definizione di casa di riposo richiamata si evince, altresì, che non sono contemplati in essa vincoli di durata del rapporto con il cliente. E’, pertanto, del tutto erroneo individuare una differenza con conseguenze giuridiche, tra albergo e casa di riposo,  fondata sulla pretesa durata dei rapporti con la clientela.  Infatti, il  riferimento alla durata “abituale” del rapporto tra cliente dell’albergo e cliente della casa di riposo, è una argomentazione di sola valenza  commerciale ma non certo giuridica. 

Peraltro, la considerazione in esame, risulta essere errata anche da un punto di vista commerciale: è noto che le case di riposo ricevono persone anche per periodi brevi o brevissimi, e questo per i motivi più vari, come la necessità di trovare momentanea  ospitalità nel periodo d’indisponibilità delle proprie case di residenza o dei familiari conviventi; è anche noto che delle persone vivono abitualmente negli alberghi nei quali fissano la propria residenza. 

a. 5 Inoltre dalla norma enunciata s’intende con precisione che nella casa di riposo debbono essere assicurate le prestazioni alberghiere alle quali vanno aggiunti interventi culturali e ricreativi, e servizi specifici a carattere socio assistenziale.

In sostanza l’oggetto principale della attività della Casa di Riposo, è quello ricettivo alberghiero, al quale si aggiungono altri specifici servizi e non v’è dubbio che tale elemento debba ritenersi decisivo ai fini di una corretta comprensione della fattispecie .

a.  6 Utile, al fine di una giusta interpretazione dell’art. 27 più volte citato, è anche la consultazione dei lavori preparatori  della legge onde capire le ragioni della maggior durata contrattuale concessa alle locazioni alberghiere, e se, in effetti la ratio della norma, possa far capire come la stessa sia applicabile anche alle case di riposo.

Come è noto la maggior durata dei contratti relativi alle locazioni alberghiere si stabilì sul rilievo che gli impianti necessari per il loro esercizio comportano spese particolarmente rilevanti e richiedono un lungo periodo di ammortamento in ragione anche della redditività degli stessi.  Alla base della norma c’è un rapporto investimento/ammortamento ben chiaro: le spese necessarie per allestire una attività alberghiera, anche in previsione della sua redditività, comportano un periodo di ammortamento più lungo.

La giurisprudenza in questo quadro ha preso posizione con riferimento alle strutture sanitarie ed in particolare con le case di cura che spesso, in modo imperdonabilmente erroneo, vengono confuse con le case di riposo.

Per le case di cura l’assimilabilità alle attività alberghiere  è stata  negata, sul presupposto evidente che l’oggetto essenziale della loro attività non è la ricettività, bensì la cura, di cui l’ospitalità è soltanto un accessorio. Inoltre seppure vi è una rilevanza d’investimenti per la realizzazione delle case di cura, di contro gli introiti delle stesse non sono paragonabili a quelli degli alberghi, soprattutto in ragione della necessaria durata degli ammortamenti, che debbono, per motivi anche di obsolescenza tecnologia, essere molto più brevi.  Nelle case di riposo, al contrario della case di cura, la ricettività è l’aspetto primario mentre le attività ricreative e socio assistenziali ne rappresentano solo un contorno ed un quid pluris.

Di conseguenza per le case di riposo non può che valere il regime  previsto per gli alberghi in quanto, tali attività, hanno entrambe l’oggetto principale in comune e presuppongono un investimento e dei corrispondenti introiti  paragonabili, che debbono necessariamente essere spalmati su di un periodo di ammortamento più lungo.    Ne consegue l’inevitabile l’applicabilità dell’art. 27 nella parte in cui prevede che la lunghezza minima del contratto debba essere di 9 anni   

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a.7 Il problema relativo alla natura prevalentemente alberghiera  della casa di riposo è stato risolto in questo senso anche da un punto di vista amministrativo. E’ stata, infatti,  acquisita agli atti la certificazione della Camera di Commercio dalla quale si evince come l’attività di casa di riposo è classificata, nell’ambito delle attività imprenditoriali,  come attività alberghiera, di pensione, o locanda, cosa che risulta, se non decisiva, assolutamente significativa sul punto.

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Ne consegue a tutti gli effetti che l’attività di una casa di riposo, assolutamente non riconducibile a quella di una casa di cura,  deve a tutti gli effetti classificarsi anche in senso civilistico come attività alberghiera o comunque prevalentemente alberghiera, con la conseguente necessità di applicare, ai sensi del citato articolo 27 la durata di 9 anni, quale periodo minimo di locazione.    

 

Veniamo alle contestazioni formulate da controparte nel merito e alla loro infondatezza.

Nella difesa di controparte con riferimento alla certificazione della camera di commercio  si afferma che essa: “non ha alcuna rilevanza probatoria in sé … non è idonea a dimostrare l’effettivo svolgimento della attività da parte del conduttore … il fatto che una determinata attività sia inserita nell’oggetto sociale … non significa infatti che essa sia stata effettivamente svolta.” Per giunta sull’argomento controparte afferma  “che la certificazione della C.C.I.A.A. è stata invocata da controparte, nei giudizi di prime cure come elemento di prova a sostengo del fatto che Casa di Riposo il  X   s.r.l. svolgesse effettivamente l’attività di casa di riposo e non invece al diverso fine di attribuire alla classificazione seguita dalla CC I AA un qualche effetto certificativo circa la natura della attività .. sotto questo profilo quindi già nell’appello si nascondeva una domanda nuova … non voler accettare il contraddittorio”.

Su punto controparte fa finta di dimenticare che il giudizio che lei stessa ha introdotto non era un giudizio di risoluzione contrattuale per inadempimento per uso diverso da quello pattuito, ma una intimazione di licenza per finita locazione non avendo l’intimante  nulla da eccepire sull’esercizio nell’immobile dell’uso convenuto.

Quindi in giudizio non si è mai contestato l’uso pacificamente svolto sul posto di casa di riposo. 

Il documento è stato prodotto in quanto il giudice doveva risolvere di un problema, privo di precedenti, su una questione esclusivamente di diritto, quale l’applicazione del regime locatizio delle Case di Riposo e nella specie se per esse se  sia applicabile quello alberghiero o quello commerciale come per le case di cura. Quindi si è prodotto un documento della Camera di Commercio, sin dal primo grado,  che per quanto possa essere indicativo, considerato che la decisione ultima è del Giudice, comunque mostra che a livello amministrativo generale la camera di commercio qualifica come alberghiera l’attività di casa di riposo, circostanza che comunque pare utile per il difficile lavoro di chi dovrà dare la qualificazione a livello giudiziale.

 

Le questioni sulla durata della permanenza dei clienti del tipo di cliente e del bacino di utenza riportate nella comparsa di costituzione di controparte  sono delle mere considerazioni personali della parte che non hanno nulla a che vedere con la qualificazione giuridica della fattispecie. Comunque tali temi  ripetono quanto indicato nella sentenza di primo grado e quindi le argomentazioni a contrario sono già state esaurientemente espresse in precedenza. Sul punto occorre soltanto puntualizzare l’affermazione  di pagina 12 della comparsa in cui controparte afferma “peraltro non è neppur vero che le case di riposo non offrano servizi di cura e assistenza anche sanitaria ai propri utenti…”

In precedenza abbiamo dato la definizione che la legge dà della casa di riposo e come abbiamo visto i servizi sanitari sono da essa esclusi.  Pertanto, nel caso una casa di riposo dia servizi sanitari svolge una attività diversa da quella prescritta divenendo casa di cura, comunque se nella specie controparte intende sostenere che la Casa di Riposo il X abbia svolto servizi sanitari, avrebbe dovuto sostenerlo sin dall’inizio del giudizio e comunque avrebbe dovuto avrebbe dovuto dare prova di tale circostanza che qui si contesta.

 

Nel merito controparte nulla dice sulla questione dei lavori preparatori alla legge 392 1978  e sulla sostanza della giurisprudenza formatasi sulla questione delle case di cura e la applicabilità delle stesse, che quindi nella specie va ulteriormente ribadita.  Abbiamo visto, infatti, che la Giurisprudenza ha considerato non applicabile per le case di cura il termine di nove anni, ritenendo che esse avessero come finalità primaria la cura e non l’ospitalità e che comunque i lavori di realizzazione di tali strutture comparati con i relativi introiti facciano ritenere che per esse il periodo di ammortamento di sei anni sia quello giusto.

 Per quanto, lo si dice in via subordinata, anche per le Case di Cura per le quali la giurisprudenza non concede l’applicazione del regime alberghiero per quanto riguarda l’art. 27 della L 392 1978 possono essere sollevati dei seri dubbi.

Infatti, non può facilmente superarsi quanto indicato nell’art. 1786 cod. civ. che appunto si intitola “stabilimenti e locali assimilati agli alberghi” e definisce espressamente le case di cura come attività appunto assimilabili a quelle alberghiere.

 

Di fronte ad una indicazione testualmente così forte, la tesi di controparte secondo la quale il termine di sei anni debba essere applicato alle case di riposo  in quanto applicabile alle case di cura appare in tutta la sua fragilità.

In sostanza chiedere l’emissione di una sentenza che indichi come regime di legge ex art. 27 l 392 1978 per le case di riposo, quello commerciale, sulla base che esse non avrebbero nulla a che fare con le attività alberghiere e comunque sarebbero attività equiparabili alle case di cura, che esplicitamente dalla legge vengono indicate come assimilate agli alberghi, è pretendere  una pronuncia contra legem.

 

                                                Avv. Mauro Morelli  

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