Si riportano alcune argomentazioni svolte avverso un pronunciamento sulla sussistenza di Usi Civici nella zona di Torvergata in Roma in favore del comune di Frascati.

       

                                             

La sentenza di impugnata

Dopo le prime 24 pagine di minuziosa ricostruzione del lungo giudizio inizia la motivazione che espone immediatamente e brevemente le conclusioni cui è giunto il Commissario, consistenti essenzialmente nell'affermare che l'originaria natura collettiva, indubitabile al momento in cui il bene apparteneva all’Università Agraria di Frascati, permane anche nel momento della gestione da parte del Comune cui il bene era pervenuto a seguito dello scioglimento della Università Agraria.

Esposta tale conclusione la motivazione prosegue con una lunga esposizione delle ragioni che la confermerebbero. Inizialmente, a partire proprio da pagina 24 e fino a pagina 40, il Commissario riporta tra virgolette quanto esposto nella contestatissima CTU. Quindi, nella sentenza si prosegue evidenziando quali elementi della descrizione storica svolta dal consulente, risulterebbero decisivi ai fini della decisione. In particolare il Commissario osserva che la legge del 4 agosto 1894 n. 397, nella cui previsione rientra anche il terreno “de qua agiutur”, veniva “operata una radicale riforma della disciplina concernente gli assetti fondiari collettivi” locuzione, a dire del Commissario, preferibile a quella di “usi civici” perché comprendente, oltre a questi ultimi “sctrictu sensu” anche tutti gli altri diritti di promiscuo godimento delle terre spettanti agli abitanti di un Comune o frazione o alle università, associazioni agrarie comunque denominate cui fa riferimento la legge 1766 n. 1927.

Questa riforma, secondo la motivazione, aveva fatto si che una volta annesso il Lazio al Regno d’Italia i territori destinati ad usi collettivi venivano amministrati direttamente dai comuni. Poi, secondo quanto affermato dal Giudice della prima fase, i terreni ex pontifici venivano espressamente ritenuti domini collettivi. Nel quarantennio che va dal 1894 al 1924, secondo il giudice di primo grado,  nel nostro Ordinamento la proprietà collettiva era dello stesso rango di quella privata e pubblica e quindi “ deve essere chiaro che i fondi che andavano a formare il patrimonio di una Università Agraria non potevano che rivestire la natura collettiva, anche se fossero per avventura provenuti da patrimonio privati” tanto che sempre secondo la motivazione i fondi, “pur di natura originariamente privata vengono attribuiti ad una università agraria ed in tal modo acquistano la natura collettiva”. 

Quindi, esposto una tale principio di diritto, nella motivazione si prosegue riepilogando la storia dei terreni oggetto di giudizio partendo dalla proprietà della Congregazione della Carità, ricordando il suo trasferimento nel 1921 alla Università Agraria, per arrivare al suo scioglimento con conferimento del patrimonio al Comune di Frascati del 1925 e giungendo alla quotizzazione e assegnazione in lotti dei terreni avvenuta per opera di quest’ultimo a partire dal 1946.

A questo punto il Commissario, dopo aver esposto i motivi per i quali era convinto che originariamente i terreni erano di natura collettiva, si chiede se le vicende successive al 1921 abbiano in qualche modo “estinto la vocazione collettiva” del terreno.

A tale proposito il dott. Catalani ribadisce, questa volta facendo riferimento specifico dall’art. 1 del Regio Decreto del 4 agosto 1894 n. 397, che il patrimonio delle Università Agrarie aveva natura collettiva con caratteristiche ben più pregnanti rispetto all’ordinario uso civico, ricordando, quindi, la già richiamata tripartizione proprietà privata – pubblica – dominio collettivo.  

Prima di rispondere al quesito che si era appena posto il Commissario se ne poneva un secondo del seguente tenore: “si tratta di definire se, con l’ingresso di terreni gravati nel patrimonio dell’Università Agraria essi assumano le caratteristiche di un patrimonio privato senza vincolo di usi civici, oppure conservino la natura di fondi privati epperò gravati, oppure vadano a costituire il dominio collettivo della Università Agraria di Frascati.”

Nella risposta al quesito, dopo aver scartato la prima ipotesi in quanto “non v’è traccia che qui diritti civici, siano stati in qualche modo liquidati”, il Commissario ritorna al Regio Decreto 397/1894 precisando che il suo tenore va interpretato nel senso che le proprietà delle Università Agrarie siano necessariamente di natura collettiva e affermando “ appare pertanto chiaro che, qualora un fondo gravato entri a far parte direttamente del patrimonio di un ente collettivo agrario, esso, senza necessità di alcuna di affrancazione, costituisca dominio collettivo dell’Ente stesso”.

Ciò in quanto secondo il Commissario, sarebbe assurdo che un ente proprietario di un fondo gravato da usi civici sia pure titolare di questi ultimi.

Di qui si espone una analogia al caso dello Stato che acquisti il terreno privato gravato da servitù militare. Si conclude, quindi, che i fondi di cui si tratta entrarono nel patrimonio collettivo dell’Università Agraria e quindi divennero bene collettivo.

Da tale conclusione si passa ad un ulteriore quesito ovvero il Commissario si chiede se l’estinzione della Università Agraria del 1925 ed il passaggio al Comune della gestione dei suoi terreni abbia mutato il loro regime giuridico. La risposta è “decisamente no”: conclusione che poggerebbe, secondo il Giudicante, sulle seguenti previsioni normative: - l’art. 1 della legge n. 1766/1927, che fa espresso riferimento alle terre possedute dai comuni; - il secondo comma dell’art. 25 della medesima legge, il quale sancisce, in caso di scioglimento dell’universalità il trasferimento dei terreni in capo al Comune “… con la destinazione corrispondente alla categoria cui essi appartengono …” (cfr. pag. 46 sentenza impugnata).

Da ciò, inspiegabilmente, il Commissario deduce che “… il patrimonio del Comune proveniente dall’Universalità Agraria non può essere assimilato alla proprietà pubblica (…) nonostante alcuni tratti indubbiamente comuni …” (cfr. pag. 46 sentenza impugnata).. Né, secondo il Dott. Catalani, sarebbe sufficiente a mutarne la destinazione, la condotta del Comune medesimo, che ha prima ridotto in quote e poi assegnato i terreni in questione, questo perché “… l’assegnazione era temporanea …”. Inoltre, prosegue il Commissario: “Se si ritiene diversamente, si dovrebbe affermare che i beni fondiari dei Boattieri prima e dell’Università Agraria poi costituiscono un patrimonio di diritto disponibile assoggettato al regime del diritto privato …” (cfr. pag. 47 sentenza impugnata).

Si tratterebbe, dunque di “dominio collettivo” e non di “proprietà pubblica” essendo stata l’autonomia giuridica del primo riconosciuta, secondo il ragionamento del Commissario, ribadita anche dalla legge 1766/1927.

Dunque, tirando le fila del suo ragionamento, il Commissario di prime cure conclude che i terreni oggetto di causa, originariamente di natura privata, ancorché gravati da uso civico in favore della collettività di Frascati, avrebbero mutato la propria natura e destinazione assumendo quella di “demanio collettivo” a seguito e per effetto del trasferimento avvenuto in favore dell’università Agraria di Frascati. La spettanza di quest’ultima, infatti, in quanto “ente agrario”, a dire del Commissario dovrebbe “… presumersi di natura collettiva, con i noti vincoli sopra elencati, che la accostano alla proprietà pubblica e la differiscono nettamente dalla privata …” (cfr. pag. 48 sentenza impugnata). Detta presunzione, prosegue il commissario, potrebbe essere vinta da un “titolo idoneo”, e cioè tale da conferire all’Universalità beni assoggettabili al regime del diritto privato. Ma nel caso di specie, secondo il contraddittorio ragionamento del Commissario, tale titolo non sussisterebbe affatto. Infatti, il trasferimento che ha interessato i terreni in questione, ossia “… l’alienazione da parte della Congregazione di carità di fondi privati gravati all’università Agraria di Frascati, lungi dal ricondurre i medesimi nell’alveo del diritto privato, li avrebbe inesorabilmente condotti nel regime del demanio collettivo “… perché il patrimonio di un ente agrario è per sua natura collettivo (…) natura che persiste anche dopo l’estinzione dell’università Agraria di frascati ed il passaggio delle sue competenze al comune. Quest’ultimo, proprio in forza della natura collettiva dei fondi procedeva alla quotizzazione ed assegnazione, cui non seguiva, però, alcun atto di definitiva affrancazione …” (cfr. pag. 46 sentenza impugnata). Da qui la laconica conclusione: “Il terreno di cui si tratta, dunque, appartiene al patrimonio collettivo di Frascati la cui gestione è devoluta al Comune …” (cfr. pag. 50 sentenza impugnata).

Dal ragionamento e dalle conclusioni sopra esposte esulano, a dire del Dott. Catalani, esclusivamente i terreni che hanno subito un mutamento di destinazione o alienazione, nell’interesse della pubblica utilità. Si tratta, a dire del Commissario “… dei terreni di cui alla Deliberazione della Regione Lazio n. 445 del giorno 8 maggio 2001, successivamente rettificate con delibera n. 138 del 7 febbraio 2003. Con tali atti la Regione Lazio autorizzava il Comune di Frascati all’alienazione, ai sensi della legge statale 1766/1927 e di quelle regionali, dei terreni di cui alle particelle 426 (ex 100 parte), 428 (ex 112 parte), 429 (ex 112 parte) del foglio 996 del Comune di Roma …”. Terreni che, dunque, secondo la sentenza impugnata: “… non appartengono più al demanio civico di Frascati e sono liberi da ogni vincolo di civica demanialità …” (cfr. pag. 50 sentenza impugnata).

***

La sentenza emessa dal Commissario per gli Usi Civici si rivela ingiusta, contraddittoria ed illogica e, pertanto deve essere riformata, per i seguenti

Motivi

                           

omissis

                            ***

omissis

                            ***

C. Violazione dell’art. 2 della legge 1766 n. 1927

Nella consulenza tecnica interamente condivisa dal Commissario ed in parte riportata nell’ impugnata sentenza, si precisa (pag 26 della sentenza) che nel 1800 il Comune di Frascati aveva trasferito terreni “ai cittadini che ne fecero richiesta dietro pagamento di un canone enfiteutico di 10,10 scudi e con l’obbligo della messa a coltura dei terreni nel modo che riterranno migliori”.

La sentenza prosegue sul punto osservando che “Il perito osserva come dagli atti relativi a tali concessioni enfiteutiche non risulti la menzione degli usi civici nonostante fossero indicati in catasto, né risulta che il comune abbia chiesto ed ottenuto dalle autorità competenti la prescritta autorizzazione ad alienare”.

In nessun altro capo della sentenza impugnata e comunque in atti risulta alcun documento comprovante usi civici sui richiamati terreni.

Si noti che la stessa sentenza Commissariale 5/2000 del Commissario Carletti, riportata a pagina 32 della sentenza impugnata, aveva fondato la propria decisione, che accertava l’insussistenza di gravami sui terreni della medesima zona, sul presupposto che “ le terre in controversia, site in agro del Comune di Roma (…) hanno carattere alloidale e non sono grave da usi civici, a favore di alcuna Comunità … nella relazione tecnica del 18/10/1995 redatta dal perito incaricato, geometra Angelo Benedetti, è scritto – da nessun documento risulta invece che su dette terre siano mai stati esercitati diritti civici di sorta da parte della popolazione di Frascati e o Roma né vi siano mai state rivendiche in tal senso da parte di qualche Comunità” .

Del resto la sentenza impugnata conferma che non vi sono in atti documenti a tale riguardo, tanto che la sussistenza degli usi civici sui terreni, sia pure nella forma della proprietà collettiva, viene ricavata nella sentenza attraverso una serie di valutazioni, deduzioni ed interpretazioni e mai da documenti riguardanti i terreni.

Sul punto, appare opportuno osservare che l’articolo 2 della legge 1924 n. 1766 stabilisce che nel caso, come quello di specie, in cui, nel giudizio di accertamento degli usi civici, non si disponga di prova documentale, è ammesso qualunque mezzo di prova. purché l’esercizio dell’uso civico non sia cessato anteriormente all’anno 1800.

Conseguentemente, al fine di procedere ad un accertamento come quello svolto nella sentenza in esame, il Commissario, in difetto di prove documentali, avrebbe dovuto accertare e comunque dichiarare che gli usi erano di fatto esercitati in data successiva al 1800. In mancanza di tale accertamento o di affermazione al riguardo, tutta la costruzione della sentenza imperniata alla ricerca di prove diverse da quelle documentali per accertare la sussistenza degli usi civici, si palesa illegittima e priva di significato.

Del resto, se il Commissario si fosse impegnato in tale dovuto accertamento avrebbe notato che in nessuna allegazione o documentazione del Comune di Frascati, si afferma che usi civici o demanialità siano mai stati esercitati sui fondi. Anzi, dai documenti in atti, il Commissario ha accertato il perfetto contrario, in quanto l’assegnazione in lotti dei terreni a singole persone, avvenuta proprio per opera del Comune di Frascati a partire dal 1946, è incompatibile con l’uso collettivo del bene e, per i periodi precedenti, non risulta dimostrato, né dedotto alcun uso collettivo degli stessi.

Pertanto, facendo corretta applicazione del citato articolo 2, il Commissario avrebbe dovuto osservare che, in considerazione della carenza di prova scritta sulla sussistenza degli usi civici o comunque della demanialità dei terreni, ed in mancanza della prova che su di essi fossero di fatto esercitati usi civici successivamente all’anno 1800, non potendo ricorrere così a ogni mezzo di prova, come stabilito dal citato articolo 2, avrebbe dovuto dichiarare che i terreni risultano liberi da ogni vincolo.

                              ***

D. Violazione dell’art. 3 della legge 1766 n. 1927

Ulteriore accertamento preliminare e dirimente alla decisione sull’accertamento degli usi civici, completamente pretermesso dal Giudice di primo grado, è indubbiamente quanto disposto dall’art. 3 della legge 1766 1927. Tale norma stabilisce una decadenza a carico dei Comuni che esercitano o pretendano di esercitare usi civici. Invero, questi ultimi avevano un termine perentorio di sei mesi dalla entrata in vigore della richiamata legge per dichiarare al Commissario la sussistenza di usi civici. Trascorso il detto termine rimane estinta ogni azione diretta ad ottenere il riconoscimento di uso civico, salvo il caso, diverso da quello di specie, nel quali risulti che l’uso sia in essere.

Su tale questione, sollevata in primo grado dalla scrivente difesa, il Commissario ha omesso ogni decisione rigettandola, a torto, implicitamente.

Al contrario, se il Giudice si fosse dedicato a tale aspetto della controversia e la richiamata norma fosse stata applicata, considerato che nel giudizio non vi è la prova che il Comune di Frascati, che già dal 1925, era succeduto nella titolarità dei pretesi diritti alla Università Agraria, abbia comunicato, come prescritto, i propri pretesi diritti al Commissario, avrebbe dovuto prima di ogni accertamento, dichiarare la libertà dei terreni da ogni vincolo.

Né vale l’argomentazione a contrario secondo la quale il termine di decadenza non sarebbe applicabile ai diritti collettivi che, seppure non provati, sarebbero riferibili alla fattispecie. E, infatti, l'interpretazione restrittiva di tale decadenza, in primo luogo non è desumibile dal complesso delle norme che compongono legge 1766, poiché il regime giuridico dei diritti in essa trattato risulta essere completamente uniforme, invero, già dall'articolo 1, che sebbene nella intestazione fa riferimento ai soli usi civici, si diparte nel testo una disciplina uniforme tra usi civici e altri diritti di promiscuo godimento.

Ad ogni buon conto, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza del 16/03/2007, n. 6165 al riguardo, ha indicato con precisione quali soggetti fossero obbligati a pena di decadenza ad effettuare la denuncia prevista dal sopra riportato articolo 3. In particolare, il Giudice di legittimità aveva considerato esenti da tale dichiarazione soltanto le comunità che esercitano il diritto sul territorio di appartenenza, mentre considerava soggetti alla dichiarazione quei diritti insistenti su proprietà private o appartenenti ad altri enti territoriali ([1]). La Corte illustrava anche la ratio legis, che consisteva nell’evitare controversie tra diverse comunità che avrebbero potuto insorgere, come nella specie, tra la comunità di Frascati e i residenti del Comune di Roma.

Il caso di specie, nel quale i diritti, sia pure collettivi, erano vantati da un ente, il Comune di Frascati, su territorio di altro ente, il Comune di Roma, rientra a pieno titolo tra quelli indicati dalla Suprema Corte di Cassazione nei quali la dichiarazione ex art. 3 l. 1766 1927 doveva essere eseguita.

Agli atti non risulta che sia stata effettuata da parte del Comune di Frascati alcuna dichiarazione nel termine perentorio prescritto dalla norma di sussistenza del detto uso civico, con la conseguente sua decadenza qualora lo stesso fosse mai esistito e soprattutto fosse mai stato esercitato. Quindi il commissario in applicazione di tale principio avrebbe comunque dovuto dichiarare decaduto il Comune di Frascati.

                              ***

E. Erronea considerazione della prova di un fatto posto a fondamento della decisione: la sussistenza della compravendita tra Congregazione della Carità e Università Agraria del 1921.

Nella denegata ipotesi che qui si esclude che le su estese eccezioni preliminari non vengano accolte, si osserva quanto di seguito.

La motivazione della sentenza ripete in più occasioni il fatto, ritenuto fondamentale, che i terreni oggetto della controversia siano entrati nel patrimonio della Università Agraria del Comune di Frascati e questo grazie ad una cessione ricevuta dalla Congregazione della Carità. Si legge a pagina 25 della motivazione : “ passando all’esame della natura giuridica dei terreni, si rileva che dalla relazione di CTU redatta dai proff. Conte e Verdesi, il terreno di cui si tratta è appartenuto all’Università Agraria di Frascati, indi, con la soppressione della stessa nel 1925 il patrimonio fu devoluto al Comune …”.

Nella motivazione viene riportato a pagina 27 il passo della CTU nel quale si afferma sul punto che l’Università Agraria di Frascati acquistò con atto notarile del 21/07/1921 dalla Congregazione della Carità il comprensorio terriero.

Come abbiamo visto nella descrizione del processo di primo grado, il Commissario attribuisce, seppure a torto, il mutamento della natura dei beni oggetto del giudizio, in collettivi per il solo fatto di appartenere alla Università Agraria. Quindi risulta fondamentale verificare la circostanza che tali beni siano medio tempore appartenuti ad essa.

Tuttavia in nessun capo della sentenza si fa riferimento all’atto o al negozio di trasferimento del bene dalla Congregazione citata alla Università Agraria.

Nella CTU, come abbiamo visto, si fa cenno ad un atto notarile ma non si indica quale o gli estremi dello stesso.

Si era osservato in primo grado che il ctu aveva ritenuto sussistente la prova di tale atto attraverso la “certificazione rilasciata dall’allora Agenzia delle Imposte dirette e del Catasto di Roma cosi come indicato nell’allora vigente catasto …. “. Il CTU, quindi, non ha mai acquisito l’atto di acquisto ma affermava per così dire - de relato – che tale documento risulterebbe: “secondo quanto riportato nella perizia Capparelli nel 1945 – epoca in cui risulta trascritta l’ultima variazione sui registri del cessato vecchio catasto pontificio, la proprietà del Comune di Frascati ricadente nel Comune di Roma- …“.

Tale aspetto risulta decisivo in quanto l’atto d’acquisito in esame è l’unico documento probatorio idoneo a darne prova del trasferimento ex art. 2725 c.c.

Sul punto corre l’obbligo di osservare che, se è vero che gli usi civici possono essere desunti alle condizioni indicate dall’art. 2 della legge 1766 1927 sulla base di qualsiasi elemento di prova, è pur vero che tale beneficio probatorio non può essere esteso a documenti che debbono attestare il trasferimento di un bene immobile, peraltro avvenuto nel 1921 e quindi reperibile in Conservatoria o all’archivio notarile.

Ne consegue che il Commissario ha errato nell’affermare, nel capo di sentenza sopra evidenziato, che fosse mai sussistita la prova di un trasferimento del compendio in favore della Università Agraria dal quale far derivare, seppure erroneamente, la formazione del diritto collettivo.

Invero tale circostanza si sarebbe dovuta necessariamente provare per iscritto e tale prova non era in atti.

Ne consegue che sul punto la sentenza risulta evidentemente errata ed il Commissario, in mancanza della predetta prova, non avrebbe potuto pronunciarsi nel senso della sussistenza dei diritti collettivi.  

F. Erronea considerazione della valenza del preteso atto di compravendita tra Congregazione della Carità e Università Agraria del 1921 con riferimento ai contenuti indicati nella CTU

Sempre rimanendo sul medesimo capo di sentenza censurato con il motivo che precede si osserva che proprio la parte di perizia Capparelli citata dal prof. Conte nella CTU precisa quali erano i beni, secondo la sua valutazione deduttiva, acquistati dalla Università Agraria nel 1921, che vengono riportati nella motivazione della sentenza impugnata a pagina 27 dove si afferma testualmente: “l’università Agraria di Frascati acquistò con atto notarile del 21 luglio 1921 dalla Congregazione di Carità il comprensorio terriero delle tenute Gregna, S’Andrea, e Quadrato”.. Il Ctu, infatti, precisa che secondo la perizia Capparelli la compravendita con l’Università Agraria riguardava soltanto la Tenuta di Gregna, la Tenuta di San Andrea e la Tenuta Quadrato (pag 10 della perizia).

Ebbene tra questi ultimi non figurano affatto quelli oggetto del giudizio in quanto non viene citata la Zona Romanina (ove si trovano i terreni oggetto di causa) che quindi per stessa indicazione del CTU non rientra tra i beni oggetto dell’acquisto della Università Agraria e comunque agli atti non vi è prova che essa rientri in quel presunto acquisto.

Questo aspetto risulta dirimente perché, come per il motivo precedente, in difetto di prova dell’acquisto del bene oggetto del giudizio da parte della Università Agraria, tutti i ragionamenti esposti nella sentenza che fondano la natura collettiva dei beni a seguito dell’acquisto della stessa da parte della Università Agraria cadono interamente. Pertanto il Commissario avrebbe dovuto dichiarare insussistenti usi civici e proprietà collettiva sui beni e comunque carente la prova degli stessi.

                              ***

G. Erroneità del presupposto sul quale si fonda la sentenza ovvero, che la semplice appartenenza di un terreno alle Università Agrarie ne muti la natura in collettiva. Grave erroneità nella interpretazione dell’art. 1 della legge 1766 1927 e valenza ai fini della interpretazione dell’articolo 1 della legge 20/11/2017 n. 168.

Come risulta dalla descrizione della sentenza di primo grado il Commissario ha ritenuto che i beni appartenenti alle Università Agrarie, per il solo fatto di trovarsi nel patrimonio di esse, acquistano la natura collettiva.

Invero si legge a pagina 25: “Trattandosi di beni provenienti da una U.A e, quindi, di natura collettiva, tale natura non viene meno con il passaggio alla gestione del Comune” ; “l’originaria natura collettiva, indubitabile al momento in cui il bene apparteneva alla U.A. di Frascati, permane anche nel momento della gestione del comune”; pag. 41:  “ deve essere chiaro che i fondi che andavano a formare il patrimonio di una università agraria non potevano che rivestire la natura collettiva, anche se fossero per avventura provenuti da patrimoni privati”. A pagina 42 della motivazione: "grazie alla liquidazione di cui all'articolo 7 secondo comma. legge 1766 1927,… fondi, pur di natura originariamente privata vengono attribuiti ad una università e agraria ed in tal modo acquistano la natura collettiva"; pag 47 “appare, pertanto, chiaro che, qualora un fondo gravato entri a far parte direttamente del patrimonio di un ente collettivo agrario esso senza necessità alcuna di affrancazione costituisca il dominio collettivo dell'ente stesso”.

Per rafforzare il principio secondo cui l’appartenenza all’Università Agraria determina la collettività del bene il Commissario precisa a pagina 43 della motivazione: "si ribadisce a tal fine che dirimente appare l'interpretazione della legge 4 agosto 1894 numero 397 - Ordinamento dei domini collettivi delle province dell'ex Stato pontificio-. All'articolo uno di tale legge infatti veniva riconosciuta la natura di dominio collettivo al patrimonio delle università agrarie, delle comunanza e partecipanti, associazioni istituite a profitto della generalità degli abitanti di un comune, o di una frazione di un comune, o di una determinata classe di cittadini per la coltivazione o il godimento collettivo dei fondi, o l'amministrazione sociale di mandrie di bestiame, enti cui veniva conferita la personalità giuridica. Non si deve pertanto stare a pensare se al 1895 permanevano ancora gli usi collettivi, quanto rilevare con certezza che in forza dell'articolo uno della legge primo 4 agosto 1894 numero 397 il patrimonio diveniva dell'Università Agraria poi assumeva indubbia natura collettiva, con le note caratteristiche della fruibilità immediata da parte di tutti consociati secondo le regole statutarie, della indivisibilità della inalienabilità se non mediante mutamento di destinazione, della impossibilità di estinzione per la prescrizione e non solo, e della impossibilità che altri acquisiscano i terreni per usucapione. Questo particolare statuto di dominio collettivo è qualcosa di ben più pregnante che non l'uso civico in sé, che grava su beni di privati dando luogo alla figura giuridica promiscua del fondo privato gravato qui si tratta invece di un assetto fondiario a sé stante per cui accanto alla proprietà privata e quella pubblica si staglia duramente il dominio collettivo.

In sostanza con tale capo di sentenza viene espresso un principio ribadito in vari capi del provvedimento impugnato con il quale si afferma che la proprietà acquista la natura collettiva in base al proprietario: se questi è un’Università Agraria la proprietà diviene, infatti, collettiva.

Quindi il Giudice ritiene che non ha importanza accertare se prima del 1921 i terreni “de quibus agitur” fossero gravati da usi civici o fossero di natura collettiva, in quanto la circostanza è, a dire del Commissario, irrilevante, poiché è il passaggio nel patrimonio dell’Università Agraria del 1921, indipendentemente dal passato, a trasformare quel diritto in diritto collettivo.

Secondo tale tesi, quindi, in un caso come quello di specie, tutte le indagini storiche, relative agli usi, che in effetti nel presente giudizio non hanno condotto all’accertamento di gravami, sono comunque inutili in quanto il solo fatto di essere appartenuti per un periodo di 4 anni alla Università Agraria, dal 1921 al 1925, li avrebbe eternamente trasformati in terreni collettivi con il relativo regime giuridico.

Il descritto ragionamento giuridico troverebbe conferma nell’articolo 1 della legge n. 397 del 1894 e nella legge 1766 1927, nonché nella legge 28/11/2017 n. 168 che, a pag. 49 della motivazione, il Commissario cita come di seguito: ”l’art. 1 stabilisce che tutti i beni delle Università Agrarie debbano intendersi quali beni collettivi. Pertanto tale ultima disposizione normativa getta luce anche sul caso che ci occupa, poiché come si è detto i beni della Università Agraria avevano natura collettiva e nel passaggio al Comune non perdono tale indole in quanto il comune è tenuto soltanto alla gestione per nome e per conto della collettività”.

Tale ragionamento è erroneo come verrà dimostrato da quanto esposto di seguito.

                              ***

I diritti feudali e gli usi civici sono stati regolati, da tutte le leggi che si sono susseguite in materia, soltanto con riferimento al loro riordino e alla loro liquidazione. Essi sono un’eredità di un passato lontano che il Legislatore, anche con l’ultima legge del 2017 tende a superare o al massimo a mantenere. In altri termini nessuna legge in materia si occupa della costituzione ex novo di usi civici o di diritti collettivi del tipo di quelli rivenienti dal Medio Evo. In conclusione ogni legge si occupa della loro passata individuazione e della loro eventuale sopravvivenza al fine del loro riordino o liquidazione. Non è vero, infatti, che l’articolo 1 della legge 1766/1927 abbia istituito, sia pure implicitamente, una nuova proprietà collettiva con costituzione automatica all’atto dell’acquisto da parte di una comunità. Infatti tale articolo aveva esclusivamente sancito la personalità giuridica degli enti possessori gestori o proprietari di quei beni che, dal Medio Evo, erano gravati da usi. E’ proprio il Commissario che a pagina 40 della motivazione riferendosi alla legge 1894 n 397 afferma che: “con questa legge veniva espressamente riconosciuto che nei territori già appartenuti allo stato papale, fino al 1860 … continuavano ad esistere domini collettivi espressamente e direttamente riferibili alle comunità locali”. Con egli ammette, per così dire che i domini collettivi sono solo quelli sopravvissuti al lontano passato ed esplicitamente ammessi dalla legge.

Anche la recente legge del 2017 n. 168 ed in particolare l’articolo 3 stabilisce in modo ben chiaro quali siano “i beni collettivi” e li elenca dalla lettera “a” alla lettera “f” enumerando l’unica serie di beni collettivi possibili che sono tutti esclusivamente rivenienti dal passato.

In definitiva i beni collettivi con il particolare regime che li assiste sono solo quelli che ci sono pervenuti e non è possibile istituirne di nuovi.

Ecco quindi un grave errore della ricostruzione giuridica esposta nel capo di sentenza in esame, nella quale si dichiara che non avrebbe alcuna importanza stabilire quale fosse il regime dei terreni prima del 1921, in quanto sarebbe sufficiente il solo fatto di appartenere alla Università Agraria a ricondurre, ex novo, indipendentemente dal passato, il terreno all’antica proprietà collettiva.  

Al contrario quest’ultima non può essere creata ex novo come afferma il giudice di primo grado, in quanto in forza delle norme che disciplinano gli usi civici e gli altri diritti promiscui, o è quella antica, e beneficia del particolare regime di inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità, e della perpetua destinazione, o è nuova e, quindi diviene una semplice comproprietà in regime ordinario.

Conseguentemente il Commissario, non avendo prove sulla originarietà di usi o collettività dei beni rivenienti dall’antichità e, come abbiamo visto, neanche dell’esercizio effettivo di essi, non avrebbe potuto concludere come ha fatto ed avrebbe dovuto qualificare come libero da ogni vincolo il compendio in esame.

H. Erronea applicazione del principio della confusione

La motivazione, come ammesso dallo stesso Commissario che la ha redatta, torna molte volte sul medesimo argomento ed in particolare sulla questione relativa al trasferimento intervenuto tra la Congregazione di Carità, cessionaria e la Università Agraria di Frascati, che sarebbe avvenuto nel 1921. Il commissario afferma, come abbiamo visto, che nella specie i terreni ceduti dalla Congregazione dovevano considerarsi terreni gravati da uso civico e che il trasferimento alla Università Agraria avrebbe mutato tale loro destinazione entrando in quella collettiva. In particolare nella motivazione si ripete per tre volte che con l’entrata nella Università Agraria il bene era sottoposto al “dominio collettivo” che “è qualcosa di ben più pregnante che non l’uso civico in sé, che grava su beni di privati dando luogo alla figura giuridica del fondo privato gravato. Qui si tratta invece di un assetto fondiario a sé stante, per cui, accanto alla proprietà privata e a quella pubblica si staglia autonomamente il dominio collettivo. Ribaditi questi principio generali, nel caso di specie, l’acquisizione al patrimonio dell’U.A. risale al 21/07/1921, quando la Congregazione di Carità cede all’ente agrario frascatano il suo patrimonio fondiario. Si tratta pertanto di definire se, con l’ingresso dei terreni gravati nel patrimonio dell’Università Agraria essi assumano le caratteristiche, (a) di un patrimonio privato senza vincolo di usi civici; (b) essi conservino la natura di fondi privati però gravati; (c) essi vadano a costituire il dominio collettivo della Università Agraria”. (pag 44 della motivazione).

Il ragionamento poi prosegue, come vedremo più avanti giungendo alla conclusione, come si vedrà errata, che i fondi “de quibus agitur” siano di natura collettiva, tuttavia pare opportuno già da questo punto evidenziare un primo vizio dirimente.

Nel suesposto ragionamento si da per acquisito il fatto che i terreni che erano della Congregazione di Carità fossero gravati da usi civici. La qual cosa non è rilevabile da alcun elemento in causa e tantomeno dalle legge 397 1894 che si riferisce ai territori dell’agro romano ma non precisa quali; è infatti evidente che nell’agro romano non vi fossero solo terreni gravati da usi. Quindi anche sotto tale profilo il Commissario non sarebbe potuto giungere alla conclusione che i terreni per cui è causa fossero divenuti collettivi.

Ma andiamo più avanti.

Il commissario non ritiene valida l’ipotesi (a) sopra riportata sostenendo che “ la prima ipotesi è senz’altro da scartare, in quanto non v’è traccia alcuna che quei diritti civici, siano stati in qualche modo liquidati”. La deduzione corretta invece è diametralmente opposta in quanto non v’è traccia in atti che quegli usi, cui fa riferimento il Commissario, gravassero sui terreni per cui è causa al tempo in cui erano nella disponibilità della Congregazione di Carità.

Egli poi prosegue insistendo che la legge 1894 n. 397 aveva il significato che segue (pag 47 della motivazione):

“Da tutto il tenore di tale legge si comprende come la proprietà di una università agraria si debba intendere come un demanio collettivo. Soprattutto poi l'articolo 12 disciplina il caso in cui un fondo fosse stato gravato da servitù di varia natura (giova ricordare che l'epoca la dottrina giuridica di conduceva gli usi collettivi nello schema della servitù con le caratteristiche però non della figura pervenuta dalla dedizione romanistica bensì dall'esperienza il diritto germanico).

Per tali fondi quelli privati gravati si prevedeva mediante l'affrancazione favore di tutti gli utenti la formazione di una proprietà collettiva, appare, pertanto, chiaro che, qualora un fondo gravato entri a far parte direttamente del patrimonio di un ente collettivo agrario esso senza necessità alcuna di affrancazione costituisca il dominio collettivo dell'ente stesso si pensi alle assurdità dell'altra ipotesi su indicata.

Se infondo rimanesse privato gravato, si configurerebbe l'assurda situazione per cui un ente collettivo sarebbe titolare di un diritto privato di proprietà su un fondo gravato di usi civici a favore dei suoi stessi membri ed utenti; esso si staglierebbe pertanto da un lato come privato proprietario del fondo dall'altro come gestore degli usi civici in favore dei propri membri. E invece chiaro che gli usi civici, con l'acquisto del terreno da parte dell'Università agraria, vadano a confondersi con del titolo dominicale, impegnandolo di collettivismo. Si pensi per analogia a caso dello Stato che acquisti un terreno privato gravato da servitù militare, forse che quel terreno potrebbe mai diventare patrimonio disponibile dello Stato e però gravato da servitù demaniale militare non piuttosto entrerebbe a far parte del patrimonio demaniali dello Stato per queste ragioni si ritiene fermamente che al 1921 i fondi di cui si tratta entrarono il patrimonio collettivo dell'Università agraria”

 Anche in questo caso l’intera deduzione della motivazione dimostra come il tenore delle leggi citate non sia affatto sufficiente a sancire l’istituto, lo si dice con tutto il rispetto, inventato dal Giudice di primo grado, in forza del quale la natura del titolo di proprietà o del diritto reale e collettivo vari, non in ragione del bene, della sua provenienza, del titolo di trasferimento o della sua storia, ma in ragione della natura del proprietario.  

Il Commissario, infatti, per confermare il suo convincimento, deve sviluppare delle deduzioni logiche che sono evidentemente fallaci. Egli, infatti, afferma che sarebbe assurdo che un ente, divenuto proprietario dei beni, sia anche titolare dei diritti collettivi su esso gravanti. A seguito di questa ritenuta assurdità, in realtà non si intende bene quale, in un’ottica collettivistico-centrica ritiene che la somma della proprietà e del diritto agli usi trasformi entrambi nel diritto di proprietà collettiva.

Al contrario se il Giudice si fosse dedicato ad applicare i principi di diritto che attengono all’istituto della confusione sarebbe giunto a conclusioni ben diverse. E’ noto che la confusione in unica persona dell’avente diritto e dell’obbligato estingue l’obbligazione oppure la confusione del nudo proprietario con l’usufruttuario nella medesima persona estingue i due diritti parziali e fa vivere la proprietà piena. Conseguentemente la confusione tra il proprietario e l’avente diritto del gravame sulla proprietà divengono proprietà piena peraltro non collettiva nel senso storico, come abbiamo visto nel motivo che precede.

Conseguentemente anche sotto tale profilo il Commissario sarebbe dovuto giungere a conclusioni diverse e contrarie ritenendo che da una parte il confluire del bene nella Università Agraria non ha effetti sulla sua natura e, comunque, nel caso di confusione tra il titolare dell’uso e della proprietà avrebbe dovuto dichiarare il formarsi della proprietà piena.

                             ***

omissis

Roma, 5 gennaio 2018

                             Avv. Mauro Morelli                                             

 

 

 

Addenda

Si ritiene utile, a titolo di aggiornamento di quanto sopra esposto evidenziare che la Suprema Corte di Cassazione ne respingere un motivo di  ricorso per Cassazione promosso dal  Comune  affermava, con la sentenza  n. 3870/2017  il seguente principio:

“Non è fondata la tesi del Comune ricorrente secondo la quale la sola appartenenza all'Università Agraria sarebbe sufficiente ad attribuire alle terre la qualità di terre di uso civico perché le Università Agrarie ben potevano possedere beni non destinati ad uso civico (arg. ex art. 25 della legge nel riferimento ai beni di altra natura posseduti dalle associazioni di cui all'art. 1 ed ex art. 26 per il quale solo i terreni di uso civico devono essere aperti all'uso di tutti i cittadini).”

Adenda

Si ritiene utile, a titolo di aggiornamento di quanto sopra esposto evidenziare che la Suprema Corte di Cassazione ne respingere un motivo di  ricorso per Cassazione promosso dal  Comune  affermava, con la sentenza  n. 3870/2017  il seguente principio:

“Non è fondata la tesi del Comune ricorrente secondo la quale la sola appartenenza all'Università Agraria sarebbe sufficiente ad attribuire alle terre la qualità di terre di uso civico perché le Università Agrarie ben potevano possedere beni non destinati ad uso civico (arg. ex art. 25 della legge nel riferimento ai beni di altra natura posseduti dalle associazioni di cui all'art. 1 ed ex art. 26 per il quale solo i terreni di uso civico devono essere aperti all'uso di tutti i cittadini).”

Adenda

Si ritiene utile, a titolo di aggiornamento di quanto sopra esposto evidenziare che la Suprema Corte di Cassazione ne respingere un motivo di  ricorso per Cassazione promosso dal  Comune  affermava, con la sentenza  n. 3870/2017  il seguente principio:

“Non è fondata la tesi del Comune ricorrente secondo la quale la sola appartenenza all'Università Agraria sarebbe sufficiente ad attribuire alle terre la qualità di terre di uso civico perché le Università Agrarie ben potevano possedere beni non destinati ad uso civico (arg. ex art. 25 della legge nel riferimento ai beni di altra natura posseduti dalle associazioni di cui all'art. 1 ed ex art. 26 per il quale solo i terreni di uso civico devono essere aperti all'uso di tutti i cittadini).”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]In tema di usi civici, la dichiarazione prevista dall'art. 3 della legge 16 giugno 1927 n. 1766, secondo cui chiunque pretenda di esercitare diritti di uso civico di "promiscuo godimento" è tenuto a farne dichiarazione al commissario liquidatore entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, pena l'estinzione dei relativi diritti, non riguarda i diritti sui terreni che, appartenendo al demanio universale o comunale, siano propri della stessa collettività degli utenti; infatti, allo scopo di evitare contrasti o incertezze fra le popolazioni agrarie, il legislatore, nel prevedere l'obbligo della denuncia esclusivamente per i diritti di "promiscuo godimento", ha inteso riferirsi ai diritti di uso civico su beni altrui, non potendosi tale ipotesi configurare nel caso di titolarità dei beni spettanti alla stessa "universitas" di appartenenza degli utenti, anche quando i diritti siano esercitati da collettività residenti in parti limitate del territorio comunale. Tale normativa non è in contrasto con gli art. 3 e 42 Cost., giacché la profonda diversità dei contenuti dei diritti di uso civico, su beni privati o appartenenti ad enti territoriali distinti da quelli di residenza degli utenti, rispetto a quelli aventi ad oggetto beni della propria "universitas", giustifica la diversa disciplina, senza incontrare alcuna controindicazione nell'esigenza della libera circolazione dei beni; quest'ultima, infatti, non può considerarsi un connotato necessario dei beni oggetto di proprietà pubblica che, ai sensi del primo comma dell'art. 42 Cost., sono tenuti distinti da quelli oggetto di proprietà privata. (Rigetta, App. Roma, 28 Novembre 2002) Cass. civ., Sez. II, 16/03/2007, n. 6165

PARTI IN CAUSA Henraux S.p.A. C. Comune di Stazzema Frazione Arni

FONTE  Mass. Giur. It., 2007 CED Cassazione, 2007 RIFERIMENTI NORMATIVI COST Art. 3

 

 

Additional information