Si assiste spesso ad accordi anche commerciali perfezionati con semplici comunicazioni informatiche: mail, sms, messaggi whatsApp. Una particolare attenzione va riservata al caso di contratti afferenti gli immobili come ad esempio il preliminare di compravendita. Ci si chiede se effettivamente due soggetti  possano con una semplice comunicazione informatica obbligarsi, sia alla proposta, sia alla sua accettazione, concludendo un contratto preliminare. A tale proposito occorre ricordare che l’art. 1351 c.c. commina la nullità del contratto preliminare privo della forma richiesta per il definitivo che, come è noto, nel caso della compravendita immobiliare è quella scritta  ai sensi dell’art. 1350 c.c.  Ci si chiede, quindi, se la Legge consideri forma scritta messaggi informatici del tipo descritto, determinando l'obbligatorietà della promessa a comprare o vendere un immobile. 

 

Lo studio degli accordi di pay for delay e di come le questioni antitrust da essi sollevate siano state affrontate negli Stati Uniti e in Europa consente di formulare alcune considerazioni.

La Suprema Corte di Cassazione a SS UU  con la sentenza 01/02/2014 n. 61 ha definito con forza il principio che il creditore non ha diritto di ottenere il rimborso di somme effettuate oltre lo stretto necessario all’ottenimento della soddisfazione del credito.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno definito il principio dell’  unicità del processo esecutivo immobiliare  (CASS SS UU 01/02/2014 n. 61).  Non è legittimo che un medesimo immobile possa essere oggetto di più azioni esecutive separate. A tale proposito i Giudici di legittimità hanno espresso una serie di principi volti a superare le problematiche prudenziali che giustificavano la presenza di più azioni esecutive. Invero l’incertezza sulla permanenza del titolo che aveva introdotto la procedura esecutiva rendeva prudente una nuova e più sicura azione. La Suprema Corte sanciva quindi il seguente principio:    

“Nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura deve essere intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la costante sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo, sia pure dell'interventore, che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Di talché, qualora, a seguito dell'intervento di un creditore munito di titolo esecutivo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva dal pignorante esercitata, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che prima ne era partecipe accanto al creditore pignorante.”. 

Conseguentemente avviare una nuova procedura esecutiva immobiliare in presenza di una precedentemente avviata sullo stesso bene rappresenta una azione ultronea che si conclude certamente con la riunione della seconda azione alla prima incardinata.

Sicché chi promuove una seconda procedura esecutiva immobiliare su un cespite già colpito da esecuzione, svolge un’azione priva di utilità esecutiva e compie un abuso del processo che non giustifica il recupero delle spese sostenute a carico del debitore, che non potranno essere recuperate in sede distributiva. La questione è stata sollevata dallo studio avanti al Tribunale di Roma e siamo in attesa della pronuncia.

Roma, 21/04/2022

                                                                                    Avv. Mauro Morelli

 

La legittimità della scelta di sospendere la produzione di un farmaco per patologie gravi da parte dell’unica azienda produttrice per questioni non legate alla sicurezza del farmaco.

Si è rivolta al nostro studio una signora in trattamento da decenni con il farmaco M D (Flufenazina decanoato), per essere tutelata a fronte della improvvisa cessazione della produzione in modo permanente da ottobre 2018 del farmaco, da parte dell’unica azienda farmaceutica produttrice. Il M trova indicazione nel trattamento della schizofrenia e delle sindromi maniacali ed ha il vantaggio di poter essere somministrato una volta ogni mese ed il pregio di essere economicissimo.

Corre l’obbligo di specificare che lo stop alla produzione non è avvenuto per problematiche relative alla sicurezza o efficacia del prodotto che era sul mercato ormai da decenni ma per una scelta commerciale del titolare dell’Autorizzazione al commercio, come previsto art. 34 comma 6 del Decreto Legislativo 219/2006[1].

La mancanza del farmaco ha creato sgomento nella paziente e nella sua famiglia; infatti, gli altri farmaci esistenti sul mercato per il trattamento della medesima patologia hanno tutti un principio attivo diverso a mancano studi scientifici sugli eventuali effetti di un mutamento del trattamento in pazienti psichiatrici gravi trattati da anni con M D. Inoltre, il sistema a lungo rilascio consentiva alla paziente di godere di una certa tranquillità nella corretta osservanza del trattamento, manifestando a causa della patologia una forte difficoltà a seguire con costanza un trattamento con somministrazione quotidiana.

Siamo stati indirizzati dal competente Ministro della Salute a rivolgere le istanze della nostra cliente alla Segreteria Tecnica Istituzionale Direzione Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco, che ci confermava la scelta commerciale dell’azienda farmaceutica di cessare la produzione del farmaco in questione in maniera definitiva ed ammettendo che “Le normative vigenti, purtroppo, non prevedono alcun vincolo che obblighi le aziende farmaceutiche a mantenere in commercio i propri medicinali, né esiste alcuna facoltà per gli Sati Membri, attraverso le autorità regolatorie di imporre la ripresa della commercializzazione di un medicinale o di opporsi alla volontà dell’azienda“. In effetti il citato Decreto Legislativo n°219/2006 menziona una semplice “comunicazione” della cessazione della commercializzazione nel territorio nazionale a carico dell’azienda nei confronti dell’AIFA, imponendo l’obbligo di un preavviso minimo di due mesi, che appare agli occhi dello scrivente del tutto irrisorio in relazione alla gravità di molte patologie.

Eppure, non sembra del tutto corretto liquidare il problema e le criticità sanitarie e sociali che comporta semplicemente richiamando la libertà delle aziende farmaceutiche di sospendere ad libitum la produzione di un farmaco.

E’ noto infatti che gli Stati membri della Ue mantengono forme di indirizzo della produzione farmaceutica, ne è esempio il tema dei cosiddetti “farmaci orfani”[2] impiegati nella cura delle malattie rare e per i quali gli Stati membri si adoperano in incentivi alla ricerca, allo sviluppo ed alla produzione poiché ritenuti poco fruttuosi economicamente da parte delle aziende farmaceutiche.Non si vede perché, anche alla luce dei principi di efficacia ed economicità cui deve uniformarsi l’attività amministrativa, possa essere stato cancellato un farmaco economico ed efficace e sostituito con farmaci, con principi attivi diversi e con prezzi molto più elevati a fronte di competenti autorità di vigilanza prive di strumenti efficaci.  La sospensione del trattamento con M D su pazienti cronici e trattati da anni con il medesimo farmaco e l’eventuale somministrazione di altra molecola non è stata oggetto di studi e potrebbe portare a danni irreparabili oltre che rappresentare un’emergenza sociale.

A tal proposito nota è la sentenza del Tribunale di Bologna[3],  nella quale veniva stabilita la responsabilità penale del medico psichiatra che aveva sospeso la terapia con M D ad un paziente schizofrenico cronico in terapia con questo farmaco da anni che aveva, in conseguenza della sospensione del farmaco,  commesso un omicidio in preda al delirio. 

Nelle motivazioni della sentenza si legge: « Ciò che, in realtà, si rimprovera all’attuale imputato non è di avere concorso con la propria condotta colposa nell’attività delittuosa del G.M., bensì di non avere impedito un evento (la morte del A.C.) che, in qualità di destinatario di una posizione di garanzia, egli aveva l’obbligo giuridico di impedire ».

A maggior ragione si aprono quindi profili di responsabilità nuovi a carico dello Stato e degli enti di vigilanza preposti, incaricati della “farmacovigilanza” in inopinati casi come quello trattato nella citata sentenza del Tribunale di Bologna.

Ad esempio, nel caso specifico alla nostra cliente, in assenza di M è stata prescritta una terapia sostitutiva con un principio attivo ovviamente diverso dalla flufenazina, che ha tra le avvertenze speciali quella dell’alto rischio di suicidalità nei primi tempi di trattamento. Alla luce di quanto esposto appare chiaro che l’avverarsi di qualsivoglia evento infausto legato al mutamento del principio attivo del farmaco neurolettico in un trattamento decennale è da potrebbe intendersi in violazione dell’art.2 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che recita nella sua prima frase “ il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”, imponendo una obbligazione positiva a carico delle autorità degli Stati membri”[4]

                                                                                                   Dott. ssa Romina Morelli

 

[1] Decreto Legislativo n°219, 24 aprile 2006 6. Il titolare comunica, inoltre, all'AIFA la cessazione, temporanea o definitiva, della commercializzazione del medicinale nel territorio nazionale. Detta comunicazione è effettuata non meno di due mesi prima dell'interruzione della commercializzazione del prodotto, fatto salvo il caso di interruzione dovuta a circostanze imprevedibili ed eccezionali. Il termine non si applica alle sospensioni della commercializzazione connesse a motivi di sicurezza del prodotto.
(modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), punto 1 del decreto legislativo 42/14, dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 35/2019 - ndr)

 

[2] Articolo 3, Regolamento (CE) n.141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa; qualifica farmaco “orfano”; “che esso è destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica e che colpisce non più di cinque individui su diecimila nella Comunità nel momento in cui è presentata la domanda, oppure che esso è destinato alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia nella Comunità di una affezione che comporta una minaccia per la vita, di un'affezione seriamente debilitante, o di un'affezione grave e cronica, e che è poco probabile che, in mancanza di incentivi, la commercializzazione di tale medicinale all'interno della Comunità sia tanto redditizia da giustificare l'investimento necessario ».

 

[3] Trib. Bologna 19 gennaio 2006, G.u.p. Gamberini 

[4] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Paul e Audrey Edwards/Regno Unito, 14 marzo 2002 Ricorso N. 46477/99 

 

 

 

La Suprema Corte  ha valutato, ai fini della applicabilità degli interessi di mora a carico delle Asl per i ritardati pagamenti per somme dovute alle farmacie,  la sussistenza o meno della natura di "transazione commerciale" dei loro rapporti nel caso in cui il credito nasca dalla fornitura di farmaci di Classe A dispensati a seguito di ricetta medica. 

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